
Il miglior locale lesbo a Torino
Mi chiamo Dora, sono una ragazza romana di 28 anni e sono ingegnere informatico. Lavoro per una software house e spesso mi capita di fare trasferte di lavoro per periodi brevi, al massimo un mese. Poche settimane fa, in trasferta a Torino alloggiavo in un albergo non molto lontano da corso Casale (la mia azienda ha aveva provveduto all’alloggio, come sempre) e lontano da casa, dagli amici e dalla famiglia, avevo la sensazione di poter fare cose diverse, frequentare qualche posto o qualche persona trasgressiva, rompere gli schemi e la monotonia degli ambienti e delle persone che ero solita frequentare: già da alcune sere, un localino dall’entrata semibuia, illuminata da sottili luci violette, attirava la mia attenzione mentre entravo in albergo. Mi sono fatta coraggio e, la penultima sera nella città della Mole Antonelliana (sarei tornata a Roma da lì a due giorni), decisi di entrare a dare un’occhiata.
L’ingresso non era presieduto da nessuno, sentivo solo una musica di sottofondo salire dalle scale che mi apprestavo a scendere. Discese le scale, arrivai presso un’ampia porta, la quale affacciava su una stanza ariosa, nella quale alla sinistra c’era un bancone da bar, dietro il quale si stagliava una giovane barista, dai capelli lunghi, nero corvino, ma rasati da un lato, una canotta a copertura del busto e parzialmente delle spalle, lasciava ben in vista una serie di tatuaggi tribali, in gran parte di colore nero e blu, a coprirgli tutto il braccio sinistro e parte della spalla e del collo. L’ambiente circostante, a partire dal bancone, si diffondeva a semicerchio in maniera partizionata: delle alte spalliere dei vari divanetti disposti a forma di u lungo tutto l’ambiente, creavano dei separè che non permettevano alla vista di penetrare al loro interno, se non attraverso le aperture che si venivano a creare nella struttura a nido d’ape della parte più alta delle spalliere, dalle quali, per altezza e diametro, non si vedeva che luce e qualche movimento, ma era impossibile percepire cosa stessero facendo le persone sedute sui vari divani; l’apertura che si veniva a creare davanti ai tre divani disposti a forma di u, era mascherata da due tende di colore rosso che scendevano dall’alto e, ricadendo sui lati, lasciavano aperto un ingresso attraverso il quale inoltrarsi sui divanetti. Sedendomi ad uno sgabello del bancone del bar, notai la totale assenza di camerieri, fatto che, unito alla luce molto bassa, l’atmosfera soffusa, i divanetti racchiusi ad u ed opportunamente schermati, mi fece intuire che la privacy e la discrezione erano caratteristiche del locale. Mi sentii subito osservata, anzi, scrutata in maniera particolare dalla barista: le mie amiche mi descrivono come una ragazza elegante, con una spiccata femminilità messa in risalto dal mio corpo slanciato ed esile, non molto alta, ma con le forme al posto giusto distribuite su di un fisico asciutto e tonico, capelli castani lisci, all’altezza delle spalle ed occhi neri. Mentre la barista stava per rivolgermi la parola, alla mia sinistra si sedette una ragazza della mia stessa altezza, dai capelli color porpora corti, con una frangetta alla francese e gli occhi di un verde corallo che illuminavano le gote sulle quali si stagliavano piccole e simpatiche lentiggini; la sua bocca era carnosa e sorridendomi, mi lasciò intravedere dei denti bianchi e ben curati. Indossava una maglietta di cotone bianco, molto semplice ma anche abbastanza scollata, che lasciava seminudi due seni sodi e sicuramente più grandi dei miei (una terza, ad occhio), appoggiati su di un busto asciutto che contribuiva ad aumentarne la procacità. “Aspetti compagnia o sei sola?”, mi incalzò mentre ancora la stavo guardando; “no, sono sola, passavo di qui per caso, sono di Roma e…” non mi lasciò finire e, sporgendosi dallo sgabello in modo da avvicinarsi col suo viso al mio, con fare disinvolto mi chiese “sediamoci sui divani, possiamo parlare tranquille…se ti va”. L’enfasi che pose nella parte finale della frase, pronunciata mentre proiettava su di me i suoi occhi verdi e quei seni tonici, mi fecero fremere. Risposi soltanto “si” e, quando mi alzai, lei mi prese per mano e fece per camminare verso i divanetti dai quali era arrivata, ma fu fermata dal mio improvviso sobbalzo: non mi era mai capitato che una donna mi guardasse in quel modo, nè che mi prendesse per mano in quella maniera né che io fremessi di fronte ad una ragazza: intuivo cosa stava per accadere, ero finita senza saperlo in un locale lesbo e questo mi lasciò sorpresa e catapultata in qualcosa di selvaggio, nuovo ed inaspettato. Si voltò verso di me ed ammiccò sorridendomi: con semplicità e dolcezza, mi calmò con quella pulita espressione di complicità innocente, quindi mi convinsi ad incamminarmi sicura con lei, ma già sentivo una vampata di calore salire dal seno ed avvilupparmi il collo e, soprattutto, ero già bagnata, molto bagnata…e la cosa mi eccitava con impulso primordiale ed animalesco! Mentre raggiungevamo i divanetti, mi paralizzai davanti all’entrata di uno di essi: una donna bionda era seduta stretta vicino ad un’altra ragazza mora, più giovane di lei; mentre lei la baciava e le massaggiava le parti intime, la ragazza continuava a toccarle il seno. Avevano gli occhi chiusi ed erano totalmente abbandonate al loro piacere, così rimasi ferma a guardarle, bagnata come non mai prima d’ora, potevo quasi godere del loro piacere anche io, quando all’improvviso, sentii un braccio cingermi la vita: la “mia amica del bancone” mi abbracciò e con una mano prese a toccarmi il sedere, la sua bocca mi assaggiava il collo teneramente. Mi irrigidii, ma durò un attimo: mi voltai verso di lei e, senza pensarci e con spunto naturale e voluto, iniziai a leccarle le labbra, poi ci baciammo con impeto mentre sentivo le sue mani infilarsi nei miei jeans, fin dentro gli slip. Ci trascinammo su uno dei divani, dentro una di quelle alcove, senza riuscire a separarci, cademmo sul sofà ancora avvinghiate ed il continuo della mia prima esperienza lesbica, è un qualcosa di troppo furente, che mi ha fatto godere e toccare il cielo con mano. Ci penso sempre e tra pochi giorni ritornerò a Torino per rivivere questa magica esperienza.