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Sesso lesbo con la mia parrucchiera

Me ne sono accorta la prima volta mentre mi stava facendo la pettinatura di prova per un matrimonio. Io ero una delle damigelle e non avevo per nulla voglia di vestirmi come un confetto con i capelli che sembravano una treccia di pane. Non ero ne’ la prima, ma neanche l’ultima delle damigelle da preparare di prova, e le altre erano spazientite, perché Martina ci stava mettendo troppo.

Sentivo le dita che mi scivolavano sul collo, ma non mi rendevo conto di che cosa significasse. C’era un che di lento e rituale nei suo movimenti ed erano privi della meccanicità che aveva avuto fino a poco prima. Era anche più vicina, perché sentivo il respiro che mi arrivava dritto sulla parte scoperta del collo, e mi metteva i brividi.

Quella volta non è successo nulla di più, ma mi sono sentita strana per diversi giorni, fino alla mattina del matrimonio. L’intero staff dell’hairdresser dove lavorava era arrivato per preparare i capelli delle damigelle, della sposa e delle parenti più strette, all’alba, in un agriturismo che in poche ore si sarebbe riempito di gente.

Martina mi fece per ultima, con una scusa, e mentre le altre starnazzavano come oche impazzite mi sussurrò all’orecchio: “Credo che resterò in zona…”. Fu un sussurro talmente sottile che riuscì a malapena ad infilarsi come una lama di rasoio fra due pensieri, senza quasi essere compreso.

Sono rimasta per tutto il giorno presa dalla festa e non ci ho quasi più pensato, anche se il tarlo sottile mi ha fatto aguzzare i sensi per tutto il giorno. Fino a quando, non so neanche perché, ho guardato in direzione del viale di ingresso, e in fondo alle macchine c’era lei, seduta sul cofano della sua, con una sigaretta in mano.

Ho approfittato del caos per defilarmi e sono andata quasi come una ladra, con un vestito che sembrava uscito da un brutto libro di favole, fino alla macchina.

Lei ha finito di fumare la sigaretta mentre mi avvicinavo, era già tardo pomeriggio, e l’ha spenta a terra. “Prego…” mi disse ed aprì il portellone della sua monovolume con un gesto inequivocabile e che non ammetteva repliche.

Non so neanche perché, ma ho obbedito e mi sono seduta come una principessa a cavallo, con le gambe di traverso. Le scarpe coi tacchi sporgevano appena dal vestito, ed ho sentito el sue mani leggere toccare il laccetto ed iniziare a salire. La sentii scivolare discreta sotto la gonna lunga e raggiungere con precisione il bordo delle mie mutandine.

Forse ero un po’ brilla, ci sta, ma l’ho lasciata fare. Lei non ha continuato, ma è rimasta a giocare con le trine del mio intimo, ed ho dovuto essere io ad alzarmi maldestramente per aiutarla.

Sono caduta nella sua trappola, perché ha messo le dita ad uncino e mi ha tolto le mutandine facendole scivolare fino ai ginocchi, e non so con che rapidità, ha alzato la gonna fino a dove serviva e poi ha mosso un po’ la mano, fino a toccarmi il clitoride con la punta di un mignolo.

È stata una vera esplosione. Non tanto perché mi ha toccato, ma perché in quel breve istante si è allentata la tensione. Mi sono inarcata, invitandola a continuare ed ho sentito la sua lingua esplorare cautamente prima e in maniera sempre più insistente le piccole labbra, tornare alle grandi, scrivendo lettere con la punta umida.

Ho dovuto fare molta fatica per evitare che il vestito si riducesse ad un fazzoletto spiegazzato mentre mi contorcevo sul sedile, tenendole la testa con le mani affondate nei suoi capelli di un blu tenue, mentre la sentivo respirare con affanno e intensità fra le mie gambe.

Non sono rientrata al matrimonio. Non potevo. Le dita a gancio, esperte e astute hanno toccato proprio dove dovevano, ed io ho spruzzato fortissimo, direttamente sulla sua faccia e nella sua bocca, chiudendomi la mia come meglio potevo, ma ho bagnato tutto, sedili, vestito, lei.

Me la sono trovata di colpo in faccia, con le labbra sulle mie, col mio sapore e che mi respirava fortissimo con le mani fra i miei capelli.

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